Contenzioso

Esercizio del potere di autotutela del Comune

A decorrere dal 18/1/2024, per effetto dell’art. 2, comma 4, lett. a) e b) del decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 219, viene abrogata la precedente disciplina dell’autotutela, regolata dall’art. 2-quater del D.L. 30/9/1994, n. 524 e dal D.M. 11/2/1997, n. 37.

Le nuove forme di autotutela per il contribuente nei confronti di atti impositivi dell’Ente, vengono individuate nell’ambito della Legge 27/7/2000, n. 212 (Statuto dei diritti del Contribuente), la quale, con le modifiche apportate dal sopracitato D.Lgs. n. 219/2023, introduce l’esercizio di autotutela obbligatoria (art. 10-quater), prevista nei casi esplicitamente indicati dalla norma, e di autotutela facoltativa (art. 10-quinquies), che si differenzia da quella obbligatoria in quanto rappresenta una facoltà qualora sussistano dubbi sulla questione.

La richiesta di autotutela non sospende il termine di impugnazione dell’atto impositivo. Tuttavia, qualora il ricorso sia già stato notificato e depositato in giudizio, l’accoglimento dell’istanza va comunicato alla corte di giustizia tributaria per gli adempimenti procedurali connessi per cessata materia del contendere.

 

Autotutela obbligatoria (Legge n. 212/2000, art. 10-quater)

L’amministrazione provvede in tutto o in parte all’annullamento degli atti di imposizione nei casi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione, che sono riferiti a:

  1. errore di persona;
  2. errore di calcolo;
  3. errore sull’individuazione del tributo;
  4. errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione comunale;
  5. errore sul presupposto d’imposta;
  6. mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti;
  7. mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza.

In questo caso, il contribuente può presentare all’Ufficio Tributi del Comune un’istanza motivata, in carta semplice, di annullamento o di rettifica dell’atto emesso, con allegata la documentazione necessaria. L’Ufficio procederà in autotutela alla verifica dei dati e all’emissione dell’atto rettificato o di apposito provvedimento di annullamento.

Dalla data di presentazione dell’istanza, i pagamenti richiesti con l’avviso di accertamento sono sospesi fino al ricevimento di nuova comunicazione da parte dell’Ufficio.

In caso di rifiuto espresso o tacito da parte dell’ufficio sull’istanza di autotutela, il contribuente ha facoltà di presentare ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria di 1° grado di Milano entro il termine previsto dall’art. 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

Si rammenta che la presentazione dell’istanza di autotutela sull’atto che è stato notificato non sospende i termini per l’impugnazione dello stesso.

Il contribuente pertanto deve porre attenzione ai termini. Dalla notifica dell’atto ha 60 giorni di tempo per espletare il ricorso, senza considerare il periodo intercorrente per l’autotutela.

L’obbligo di autotutela non sussiste decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato senza che il medesimo sia stato impugnato dal contribuente.

 

Autotutela facoltativa (Legge n. 212/2000, art. 10-quinquies)

Fuori dei casi indicati all’art. 10-quater, l’annullamento per autotutela, in tutto o in parte, di atti di imposizione, è ammessa soltanto in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione e purché sussista un concreto ed attuale interesse pubblico alla sua eliminazione.

La norma non precisa le fattispecie ammesse per cui il contribuente può proporre l’istanza anche per altri casi (ad es., la doppia imposizione) ma è sempre necessaria la sua azione di impulso. La facoltatività sussiste anche quando l’amministrazione, senza che il contribuente si attivi e anche se la sentenza è passata in giudicato, riconosca l’illegittimità o l’infondatezza dell’atto impositivo o della pretesa impositiva.

Anche in questo caso, il contribuente può presentare all’Ufficio Tributi del Comune un’istanza motivata, in carta semplice, di annullamento o di rettifica dell’atto emesso, con allegata la documentazione necessaria.

In caso di rifiuto espresso da parte dell’ufficio sull’istanza di autotutela, il contribuente ha facoltà di presentare ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria di 1° grado di Milano entro il termine previsto dall’art. 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

 

Ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria

Contro gli atti di accertamento emessi dall’ufficio e ritenuti illegittimi è possibile presentare ricorso presso la competente Corte di Giustizia Tributaria di 1° grado di  Milano.

Il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di 1° grado deve contenere (artt. 12 e 18 D.Lgs. 546/1992 e art.14 c.3 bis DPR 115/2002):

  • indicazione della Corte di Giustizia Tributaria competente;
  • indicazione dei dati del ricorrente e del legale rappresentante (la residenza o sede legale, il domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, l’indirizzo di PEC e il codice fiscale);
  • indicazione dei dati dell’ufficio che ha emesso l’atto (l’ufficio finanziario o ente locale o agente della riscossione) nei cui confronti è proposto il ricorso;
  • copia dell’atto impugnato oggetto della domanda;
  • i motivi del ricorso;
  • procura a un difensore o a un soggetto abilitato all’assistenza tecnica (obbligatoria quando il valore della controversia supera i 3.000,00 euro a partire dal 1° gennaio 2016 con l’obbligo anche di indicare la categoria di appartenenza del difensore ai sensi dell’articolo 12 del medesimo D.Lgs. n° 546/92, che consenta al giudice la liquidazione delle spese di lite secondo la tariffa professionale [come modificato dall’art. 9, comma 1, lett. e) del D.Lgs. n° 156/2015];
  • indicazione del valore della lite;
  • sottoscrizione del ricorrente o del difensore sia dell’originale che delle copie destinate alle altre parti.

Relativamente alle spese degli atti giudiziari del processo tributario la tassazione è regolata mediante il versamento del “contributo unificato di iscrizione a ruolo” che ha sostituito tutte le altre imposte. Pertanto, in caso di proposizione di ricorso dinanzi le Corti di Giustizia Tributaria deve essere versato il contributo unificato, secondo le modalità ed i criteri di seguito indicati previsti dalle disposizioni vigenti in materia.

Il contributo unificato, che ha natura di entrata tributaria, deve essere versato al momento del deposito dell’atto innanzi la competente Corte di Giustizia Tributaria.

L’importo del contributo unificato tributario è determinato in relazione al valore della controversia che si intende instaurare che, per il processo tributario, corrisponde al valore dell’atto impugnato. Il valore della controversia, ai sensi dell’art. 12, comma 2, del citato D.Lgs. n° 546/92, è quindi l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. Tale valore deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, come previsto dal comma 3 bis, dell’art. 14 del D.P.R. n.° 115/2002.

Gli importi del contributo unificato sono indicati nell’art. 13, comma 6-quater, del D.P.R. n° 115/2002 con riferimento a sei “scaglioni” di valore della controversia ed esattamente:

Importo della lite CUT
da a
€ 0,00 € 2.582,28 € 30,00
€ 2.582,29 € 5.000,00 € 60,00
€ 5.000,01 € 25.000,00 € 120,00
€ 25.000,01 € 75.000,00 € 250,00
€ 75.000,01 € 200.000,00 € 500,00
€ 200.000,01 ed oltre € 1.500,00

In caso di mancata indicazione nelle conclusioni del ricorso del valore della controversia il contributo è dovuto per l’importo massimo.

Agli importi individuati secondo i criteri sopra indicati devono essere aggiunte le somme eventualmente dovute per le omissioni indicate nel citato art. 13 comma 3 bis del D.P.R. n° 115/2002, cioè la maggiorazione del 50% del contributo dovuto in caso di mancata indicazione nel ricorso dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore nonché del codice fiscale del ricorrente.

Reclamo e mediazione

L’art. 2, comma 3 del D. Lgs. 30 dicembre 2023, n° 220 ha stabilito l’abrogazione dell’istituto del reclamo-mediazione disciplinato dall’art. 17 bis del D. Lgs. n° 546/1992, per i giudizi instaurati dal 4 gennaio 2024.

Per i giudizi instaurati fino al 3 gennaio 2024 relativi a controversie di valore non superiore a 50.000,00 euro, invece, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 17 bis del D. Lgs. n° 546/1992.

Pertanto, questi ricorsi producono anche gli effetti di un reclamo e possono contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa. La procedura di reclamo/mediazione deve essere conclusa, a pena di improcedibilità del ricorso, entro il termine di novanta giorni dalla data di notifica di quest’ultimo (art. 17 bis, D. Lgs. n° 546/1992).