Villa Alari

La costruzione fu voluta da Giacinto Alari (1668-1753), a cui la brillante carriera pubblica e il notevole patrimonio consentirono di ottenere il titolo di conte nel 1731, un decennio dopo il termine della costruzione della sontuosa residenza.

Subito famosa per la sua bellezza, la villa venne inizialmente richiesta per il periodo estivo da Francesco III d’Este, duca di Modena, Capitano Generale e Amministratore della Lombardia Austriaca. Al quale, inaspettatamente, gli Alari opposero un diniego che li escluse dai salotti imperiali per qualche tempo.

Tuttavia, quando fu addirittura il terzo figlio maschio di Maria Teresa d’Austria, l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, a domandarne l’utilizzo per la villeggiatura, gli Alari furono costretti ad acconsentire. E così, dal 1772 al 1776, il Governatore della Lombardia, insieme alla moglie Beatrice d’Este, risedette a Cernusco facendo levitare il prestigio del paese.

Sulla loro permanenza esistono delle lettere scritte da Pietro Verri al fratello Alessandro in cui si sottolinea (oltre alla presenza delle zanzare) una certa noia da parte dei due coniugi. Ciononostante, al termine del contratto, gli Asburgo fecero un sondaggio per sapere il prezzo d’acquisto dell’edificio e del parco. La cifra richiesta (53.000 zecchini compresi i mobili), però, fu considerata esosa e allora preferirono erigerne uno nuovo a Monza. I tre proprietari, il canonico Giuseppe Alari e i suoi nipoti Agostino Saulo e Francesco Giacinto, che avevano subito molte spese, furono ricompensati con altrettante tabacchiere d’oro e quattrocento zecchini a testa.

Morto senza eredi nel 1831 il conte Saulo Alari, la villa passò alla famiglia Visconti di Saliceto dopo il matrimonio della vedova, Marianna San Martino della Motta, con Ercole.

Ultimo discendente di un casato quattrocentesco, il giovane Alfonso Visconti di Saliceto partecipò alla Seconda Guerra d’Indipendenza meritandosi una medaglia d’argento al valore come luogotenente dei granatieri. Trasferitosi a Cernusco, creò un istituto bacologico, si dedicò all’apicoltura e all’agricoltura seguendo tutto in prima persona.

Socio della Società Storica Lombarda, consigliere di Brera ma anche appassionato di ciclismo e poesia, il Saliceto fu persona di grande influenza in paese tanto da essere soprannominato “l’Innominato” dal giornale La Brianza. Quando, durante l’Esposizione Universale del 1906, giunse a Cernusco una delegazione canadese, fu lui a riceverla.

Spesso ritratto in scatti d’epoca – era appassionato anche di fotografia – con originali cappelli, la barba bianca e fluente, talvolta poteva sembrare un po’ eccentrico. Alla sua morte, nel 1924, la bara venne portata al cimitero sulle spalle dai contadini con cui spesso si era mischiato durante le diverse attività.

In seguito Villa Alari passò all’unica figlia di Alfonso, la contessina Valentina, che morì nubile nel 1944. Quindi, al barone Giulio Pizzini, che donò all’archivio di Milano i documenti raccolti dal Saliceto (tra cui degli autografi di papi, re e imperatori come Carlo V o Francesco I, di letterati come Vincenzo Monti), vendendo parte della prestigiosa quadreria e del mobilio.

Nel 1948, Pizzini cedette l’edificio all’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio dei Fatebenefratelli. Come conseguenza, il piano rialzato fu trasformato in uffici, mentre quello nobile fu adibito ad Ospedale psichiatrico per alcuni decenni.

La decisione di spostare i ricoverati in una struttura appositamente predisposta all’esterno dell’abitato ha fornito la grossa opportunità di tornare a fruire della villa e delle sue pertinenze. La realizzazione del progetto è stata formalizzata tramite un accordo di programma tra la città di Cernusco, il Fatebenefratelli e la Regione Lombardia firmato il 13 maggio 1999.

Tuttavia, a causa dei forti costi per ottemperare ai gravi problemi di sicurezza e manutenzione, in questi ultimi anni l’edificio è stato aperto solo di rado per concerti o visite guidate. Proprio per cercare di reperire i fondi necessari ad un suo ripristino, i cernuschesi nel 2014 hanno aderito in massa alla campagna “I luoghi del cuore” promossa dal F.A.I.: con i suoi 29.000 voti, Villa Alari è risultato il monumento più votato in Lombardia e il nono a livello nazionale.

Emblematica appare la localizzazione della Villa Alari rispetto al borgo di Cernusco sul Naviglio così come si presentava all’inizio del Settecento. Verso il paese si apre l’esedra di accesso alla corte d’onore delimitata dalle due testate dei cortili rustici, mentre a meridione la corte è chiusa dal corpo principale della villa in cui si svolgeva la vita di rappresentanza. Qui, infatti, erano i saloni per le feste e la musica, dedicati all’accoglienza degli ospiti.

Il rapporto borgo agricolo-villa si esprimeva su un asse tipicamente barocco nel graduare il passaggio dagli spazi pubblici a quelli privati, sino ai più intimi e familiari. L’asse principale della villa diviene quindi il teatro della vita di relazione, quello secondario della vita operosa. La corte d’onore è il fulcro delle due funzioni allineandosi anche con le corti rustiche dove erano gli ambienti accessori all’attività agricola di cui la villa costituiva il centro direttivo ed erano localizzati i magazzini per l’ammasso delle granaglie e la conservazione della frutta, i locali per la produzione del vino e l’allevamento dei preziosi bachi da seta, le stalle per i cavalli e le rimesse per le carrozze.

La famiglia Alari aveva proprietà a Cernusco già nel 1697: fondi agricoli e una casa da nobile nel borgo, l’attuale villa Ferrario Biraghi. Nel 1702 Giacinto acquistò un lotto di terreno adiacente al canale e subito diede inizio ai lavori conclusi intorno al 1721. Del progetto fu incaricato un giovane architetto romano, Giovanni Ruggeri (1665-1729), giunto in Lombardia al seguito di Carlo Fontana (1634-1714) e chiamato nel 1688 all’Isola Bella, sul lago Maggiore, da Vitaliano IV Borromeo. E proprio a Cernusco il Ruggeri realizzò una villa con giardino alla francese che divenne il prototipo delle numerose residenze progettate per l’aristocrazia milanese come i Trivulzio, i Cusani, i Visconti, gli Arconati.

Formata un’équipe di pittori, decoratori, stuccatori, mosaicisti, artigiani del ferro, l’architetto si spostava da una dimora all’altra assecondando abilmente le esigenze della committenza nobiliare con un linguaggio fortemente unitario. Per quanto riguarda le decorazioni, la villa fu interamente lavorata dai principali frescanti del Ducato, tra cui Giovan Angelo Borroni, comprimario del Tiepolo nel palazzo Clerici di Milano.

L’edificio presenta uno schema planimetrico ad U organizzato su molteplici percorsi assiali. Il principale, con direzione nord-sud, comprende l’esedra d’ingresso, la corte d’onore, il corpo principale della villa e il giardino con una visuale senza soluzione di continuità, sino a inglobare il cannocchiale prospettico oltre il Naviglio.

Fulcro del sistema assiale diviene la corte d’onore delimitata dal corpo principale della villa che si prolunga nelle ali concluse da due avancorpi: la cappella e la portineria. La facciata è caratterizzata da un accentuato verticalismo sottolineato dal disegno del portico e dalla raffinata eleganza dei partiti decorativi. La fronte principale, prospettando il Naviglio, aveva una funzione rappresentativa nella celebrazione del prestigio del casato. Con grande maestria l’architetto ha qui bilanciato elementi strutturali e decorativi graduando gli effetti chiaroscurali ed alleggerendo la massa muraria mediante lo svuotamento delle logge sovrapposte.

All’interno, gli ambienti di rappresentanza si succedono con criteri funzionali sui due piani magnificamente decorati. Al piano terreno un vasto portico immette nella sala della musica con volta affrescata da un’Allegoria con le Quattro Stagioni riferibile a Pietro Maggi e sovraporte a quadrature. Uno scalone d’onore di ampio respiro con splendida balaustra in pietra e ferro battuto collega i due piani della villa. Sulla volta Francesco Fabbrica rappresentò Ercole accolto nell’Olimpo, un episodio mitologico che allude alla scalata sociale del fondatore.

Dalla grande galleria decorata sul tema del Trionfo delle Arti, si accede al salone da ballo, un ambiente a doppia altezza, dipinto con squisita raffinatezza da Giovan Angelo Borroni. Dalla volta affrescata con il Trionfo di Apollo scende lungo le pareti con lesene a finti marmi, monocromi con Strumenti musicali, sovraporte e sovrafinestre, trompe-l’oeil che simulano logge per i musici. Al Fabbrica si deve la decorazione della cappella di S. Teresa benedetta nel 1725. Sulla cupola ellittica è raffigurata la Gloria dei Santi Teresa e Giacinto, patroni del fondatore della villa e della moglie Teresa Gariboldi.

Gli arredi, appositamente predisposti, sono andati dispersi nell’ultimo passaggio di proprietà, come pure l’importante quadreria.


Testo tratto da: “Nel cuore di Cernusco sul Naviglio. Tre passeggiate nel centro storico” di Elisabetta Ferrario e Mauro Raimondi (Book Time – Libreria del Naviglio, 2016)